12 marzo: Sul sentiero di San Vili, con gli amici del Cammino Iacopeo d'Anaunia
Il sentiero di san vili
PERCHE' IL SAN VILI?
(estratto da “Il Sentiero di San Vili - di Gian Paolo Margonari e Franco de Battaglia, ed. SAT 2013 )
L’idea
Il Sentiero di San Vili è nato nel 1988 dalla volontà della SAT-Società degli Alpinisti Tridentini di legarsi sempre più al suo territorio. La SAT, da sempre, considera i sentieri non semplici tragitti funzionali per unire un luogo all’altro, ma linee forti, capaci di stringere il paesaggio, nelle sue diverse espressioni di storia, cultura e lavoro (i campi, i boschi, i muretti, i selciati…), alle emozioni di chi lo percorre e lo vive. Camminare muove corpo e spirito allo stesso ritmo, li fa sentire insieme...
Mosaico di valori e di tutela attiva del territorio
Il San Vili è nato anche da una curiosa e assidua esplorazione dei territori fra la Valle dell’Adige e il Gruppo di Brenta, dall’osservare quanti meravigliosi tratti storici di sentiero si fossero ancora salvati dalla cementificazione e dalla distruzione, e quanti, invece, fossero in pericolo di esserne sommersi o di cadere nell’oblio. Ogni strada forestale che si sovrappone e spiana i sentieri (al di là della sua funzione) ogni percorso turistico artificiale, distrugge di fatto un pezzo di memoria della montagna. Allora questi tratti “residui” e preziosi, perché non collegarli insieme come un mosaico, perché si sostengano l’uno con l’altro e comunichino il loro pieno valore? E così riscoprano anche una loro funzione nella modernità? Un “salezà” (selciato) di poche centinaia di metri è destinato sicuramente all’asfalto, ma se viene collegato a un sentiero storico forse si può salvare.
Dove comincia la montagna
Ecco gli elementi che hanno portato alla progettazione del San Vili, ai quali se ne aggiunge un altro: la consapevolezza che la “Montagna”, in quanto dimensione alternativa di vita, di esperienze e di libertà, non inizia ai “1500 metri” (!) come si diceva un tempo, oltre il bosco, ai piedi dei ghiaioni e dei rifugi. Piuttosto si afferma a partire dalla realtà urbana. Città e montagna sono indissolubilmente legate, si differenziano ma si legittimano a vicenda. Il degrado dell’una (città) porta alla rovina (speculazione) dell’altra, la montagna. E la caduta della montagna porta alla morte delle città. Trento ha costruito la sua identità in rapporto alla montagna: il Gruppo di Brenta è la proiezione alpina dell’identità trentina, e d’altro canto è la “spina” che ancora collega le valli (Anaunia, Rendena) alla “grande storia” che transita lungo l’Adige. San Vigilio, il vescovo che da Trento salì a portare il messaggio evangelico nelle valli, e che fu martire in Rendena, è il simbolo di questo legame.
Il Sentiero è di chi lo percorre
Da tutto questo deriva che il San Vili, non è nato come un sentiero di pellegrinaggio, anche se poi, in certa misura lo è diventato, per scelta e sensibilità di chi lo percorreva, unendo in sé una dimensione civile e una dimensione sacra del Trentino. Il San Vili si è presentato innanzitutto come un sentiero di memoria, di identità, di attenzione alle bellezze “minori” (perché più trascurate, non perché meno importanti) della montagna, del paesaggio con i suoi aspetti naturalistici, della vita rurale con la sua cultura sobria dell’autonomia. È nato con la consapevolezza che la “dimensione montagna” non è solo alpinistica.
Sentiero di memoria
Il nome “San Vili” venne attribuito a sentiero già studiato e tracciato. Non si voleva seguire meticolosamente il percorso di Vigilio da Trento alla Rendena, né il transito delle sue spoglie da Mortaso al cimitero della Trento romana su cui poi sorse la cattedrale a lui intitolata. Si volevano legare al Sentiero momenti e luoghi significativi. Di qui la salita – faticosa – a Irone, per ricordare la peste del 1630 e collegarla con il Lazzaretto, ancora intatto, fra Caderzone e Pinzolo, un autentico monumento “manzoniano”. Di qui la salita a Pra da l’Asan e la discesa a Bocenago per godere di una montagna minore dal fascino ancora intatto. Vigilio non era passato di lì. Vigilio passò dalla Sesena (ora strada camionabile) dal Vat (guado di Tione) e di lì risalì al martirio di Mortaso. La cappella originaria della parrocchiale di Spiazzo è costruita su un masso allora lambito dal Sarca, e da cui Vigilio precipitò, o fu fatto precipitare. A dare il nome al sentiero fu Nereo Garbari, presidente della SAT di Vezzano, che ricordò come la salita dal Piè di Gazza a Margone venisse chiamata, ancora dopo secoli, “di San Vili” dalle popolazioni locali. Un nome, un segno, un destino.
L’ITINERARIO VIGILIANO
Vescovo e martire, terzo nella serie dei vescovi di Trento, Vigilio morì il 26 giugno del 400 (o del 405 d.C.) a Spiazzo in Val Rendena. Vigilio stava predicando in riva al Sarca contestando i riti estivi a Saturno delle popolazioni locali quando, colpito da zoccoli o da pani duri, secondo la tradizione, scagliatigli contro, precipitò nel fiume e venne trascinato via dalla corrente. L’architettura fa ancora memoria del martirio con la Pieve di Spiazzo a lui dedicata, costruita su una primitiva cappella proprio su un masso in riva al fiume, segno che lì qualcosa di rilevante era accaduto, perché solitamente gli uomini di Rendena stavano bene attenti a costruire le loro chiese lontano dai temibili corsi d’acqua. Un’altra suggestiva testimonianza è la chiesetta in riva al Sarca a Tione, che ricorda il luogo dove secondo la tradizione il corpo di Vigilio fu depositato dalla corrente.
Come ricorda Aldo Gorfer, dopo la morte del vescovo, il corteo funebre sostò sul fiume Sarca presso Tione, dove una “gran turba di Bresciani armati” reclamò il corpo del santo. I Trentini non cedettero. Donarono agli avversari un vaso d’argento. Proseguirono poi verso Trento. Non molto lungi dalla città sostarono nel luogo chiamato “Vela”.
L’itinerario seguìto da Vigilio e dai cristiani trentini che ne riportarono il corpo in città, corrisponde al vecchio passaggio del Bus de Vela, raggiunto da Tione attraverso Ragoli, Stenico, Banale, Ranzo e il Vezzanese. Lo scandiscono le cappelle dedicate al vescovo di Trento: San Vigilio di Spiazzo, San Vigilio al Vat di Tione, San Vigilio di Stenico (San Vigilio di Curé, San Vigilio di Molveno), la suggestiva cappella di Ranzo, San Vigilio di Vezzano fino alla cattedrale di Trento.
Vigilio si pone come testimone di una spiritualità romana e alpina alla vigilia della grande rivoluzione barbarica e come tale viene ancora ricordato in innumerevoli luoghi di pietà e di devozione.
IL PERCORSO DEL “SAN VILI”
Frequentato da un numero crescente di escursionisti e pellegrini, nel corso del 2013 il Sentiero è stato aggiornato a formare un itinerario “BASSO” e un itinerario “ALTO”.
Il San Vili “BASSO”, più facile e con meno dislivelli, comprende le nuove tratte, meglio collegate ai centri abitati e individuate, adattandole alle esigenze logistiche, anche al verosimile storico passaggio del vescovo Vigilio;.
Il percorso è proposto nelle seguenti sei tappe:
1. da Trento/Duomo a Sopramonte
2. da Sopramonte a Due Laghi
3. da Due Laghi a San Lorenzo in Banale
4. da San Lorenzo in Banale a Saone
5. da Saone a Caderzone Terme
6. da Caderzone Terme a Madonna di Campiglio
Lunghezza: km 106,9
Dislivelli in salita: m 3.772
Dislivelli in discesa: m 2.454
Effettivo cammino: ore 35.00
(estratto da “Il Sentiero di San Vili - di Gian Paolo Margonari e Franco de Battaglia, ed. SAT 2013 )
L’idea
Il Sentiero di San Vili è nato nel 1988 dalla volontà della SAT-Società degli Alpinisti Tridentini di legarsi sempre più al suo territorio. La SAT, da sempre, considera i sentieri non semplici tragitti funzionali per unire un luogo all’altro, ma linee forti, capaci di stringere il paesaggio, nelle sue diverse espressioni di storia, cultura e lavoro (i campi, i boschi, i muretti, i selciati…), alle emozioni di chi lo percorre e lo vive. Camminare muove corpo e spirito allo stesso ritmo, li fa sentire insieme...
Mosaico di valori e di tutela attiva del territorio
Il San Vili è nato anche da una curiosa e assidua esplorazione dei territori fra la Valle dell’Adige e il Gruppo di Brenta, dall’osservare quanti meravigliosi tratti storici di sentiero si fossero ancora salvati dalla cementificazione e dalla distruzione, e quanti, invece, fossero in pericolo di esserne sommersi o di cadere nell’oblio. Ogni strada forestale che si sovrappone e spiana i sentieri (al di là della sua funzione) ogni percorso turistico artificiale, distrugge di fatto un pezzo di memoria della montagna. Allora questi tratti “residui” e preziosi, perché non collegarli insieme come un mosaico, perché si sostengano l’uno con l’altro e comunichino il loro pieno valore? E così riscoprano anche una loro funzione nella modernità? Un “salezà” (selciato) di poche centinaia di metri è destinato sicuramente all’asfalto, ma se viene collegato a un sentiero storico forse si può salvare.
Dove comincia la montagna
Ecco gli elementi che hanno portato alla progettazione del San Vili, ai quali se ne aggiunge un altro: la consapevolezza che la “Montagna”, in quanto dimensione alternativa di vita, di esperienze e di libertà, non inizia ai “1500 metri” (!) come si diceva un tempo, oltre il bosco, ai piedi dei ghiaioni e dei rifugi. Piuttosto si afferma a partire dalla realtà urbana. Città e montagna sono indissolubilmente legate, si differenziano ma si legittimano a vicenda. Il degrado dell’una (città) porta alla rovina (speculazione) dell’altra, la montagna. E la caduta della montagna porta alla morte delle città. Trento ha costruito la sua identità in rapporto alla montagna: il Gruppo di Brenta è la proiezione alpina dell’identità trentina, e d’altro canto è la “spina” che ancora collega le valli (Anaunia, Rendena) alla “grande storia” che transita lungo l’Adige. San Vigilio, il vescovo che da Trento salì a portare il messaggio evangelico nelle valli, e che fu martire in Rendena, è il simbolo di questo legame.
Il Sentiero è di chi lo percorre
Da tutto questo deriva che il San Vili, non è nato come un sentiero di pellegrinaggio, anche se poi, in certa misura lo è diventato, per scelta e sensibilità di chi lo percorreva, unendo in sé una dimensione civile e una dimensione sacra del Trentino. Il San Vili si è presentato innanzitutto come un sentiero di memoria, di identità, di attenzione alle bellezze “minori” (perché più trascurate, non perché meno importanti) della montagna, del paesaggio con i suoi aspetti naturalistici, della vita rurale con la sua cultura sobria dell’autonomia. È nato con la consapevolezza che la “dimensione montagna” non è solo alpinistica.
Sentiero di memoria
Il nome “San Vili” venne attribuito a sentiero già studiato e tracciato. Non si voleva seguire meticolosamente il percorso di Vigilio da Trento alla Rendena, né il transito delle sue spoglie da Mortaso al cimitero della Trento romana su cui poi sorse la cattedrale a lui intitolata. Si volevano legare al Sentiero momenti e luoghi significativi. Di qui la salita – faticosa – a Irone, per ricordare la peste del 1630 e collegarla con il Lazzaretto, ancora intatto, fra Caderzone e Pinzolo, un autentico monumento “manzoniano”. Di qui la salita a Pra da l’Asan e la discesa a Bocenago per godere di una montagna minore dal fascino ancora intatto. Vigilio non era passato di lì. Vigilio passò dalla Sesena (ora strada camionabile) dal Vat (guado di Tione) e di lì risalì al martirio di Mortaso. La cappella originaria della parrocchiale di Spiazzo è costruita su un masso allora lambito dal Sarca, e da cui Vigilio precipitò, o fu fatto precipitare. A dare il nome al sentiero fu Nereo Garbari, presidente della SAT di Vezzano, che ricordò come la salita dal Piè di Gazza a Margone venisse chiamata, ancora dopo secoli, “di San Vili” dalle popolazioni locali. Un nome, un segno, un destino.
L’ITINERARIO VIGILIANO
Vescovo e martire, terzo nella serie dei vescovi di Trento, Vigilio morì il 26 giugno del 400 (o del 405 d.C.) a Spiazzo in Val Rendena. Vigilio stava predicando in riva al Sarca contestando i riti estivi a Saturno delle popolazioni locali quando, colpito da zoccoli o da pani duri, secondo la tradizione, scagliatigli contro, precipitò nel fiume e venne trascinato via dalla corrente. L’architettura fa ancora memoria del martirio con la Pieve di Spiazzo a lui dedicata, costruita su una primitiva cappella proprio su un masso in riva al fiume, segno che lì qualcosa di rilevante era accaduto, perché solitamente gli uomini di Rendena stavano bene attenti a costruire le loro chiese lontano dai temibili corsi d’acqua. Un’altra suggestiva testimonianza è la chiesetta in riva al Sarca a Tione, che ricorda il luogo dove secondo la tradizione il corpo di Vigilio fu depositato dalla corrente.
Come ricorda Aldo Gorfer, dopo la morte del vescovo, il corteo funebre sostò sul fiume Sarca presso Tione, dove una “gran turba di Bresciani armati” reclamò il corpo del santo. I Trentini non cedettero. Donarono agli avversari un vaso d’argento. Proseguirono poi verso Trento. Non molto lungi dalla città sostarono nel luogo chiamato “Vela”.
L’itinerario seguìto da Vigilio e dai cristiani trentini che ne riportarono il corpo in città, corrisponde al vecchio passaggio del Bus de Vela, raggiunto da Tione attraverso Ragoli, Stenico, Banale, Ranzo e il Vezzanese. Lo scandiscono le cappelle dedicate al vescovo di Trento: San Vigilio di Spiazzo, San Vigilio al Vat di Tione, San Vigilio di Stenico (San Vigilio di Curé, San Vigilio di Molveno), la suggestiva cappella di Ranzo, San Vigilio di Vezzano fino alla cattedrale di Trento.
Vigilio si pone come testimone di una spiritualità romana e alpina alla vigilia della grande rivoluzione barbarica e come tale viene ancora ricordato in innumerevoli luoghi di pietà e di devozione.
IL PERCORSO DEL “SAN VILI”
Frequentato da un numero crescente di escursionisti e pellegrini, nel corso del 2013 il Sentiero è stato aggiornato a formare un itinerario “BASSO” e un itinerario “ALTO”.
Il San Vili “BASSO”, più facile e con meno dislivelli, comprende le nuove tratte, meglio collegate ai centri abitati e individuate, adattandole alle esigenze logistiche, anche al verosimile storico passaggio del vescovo Vigilio;.
Il percorso è proposto nelle seguenti sei tappe:
1. da Trento/Duomo a Sopramonte
2. da Sopramonte a Due Laghi
3. da Due Laghi a San Lorenzo in Banale
4. da San Lorenzo in Banale a Saone
5. da Saone a Caderzone Terme
6. da Caderzone Terme a Madonna di Campiglio
Lunghezza: km 106,9
Dislivelli in salita: m 3.772
Dislivelli in discesa: m 2.454
Effettivo cammino: ore 35.00
Partiamo da Trento per raggiungere Vigolo Baselga tramite pullman. Qualche variazione sul tema della fontana nel laghetto di Piazza Dante e la Badia di San Lorenzo.
vigolo Baselga, Baselga del Bondone e Sopramonte
Baselga del Bondone era centro pievano del territorio di Supramonte, nei primi secoli dopo il Mille. Il suo centro era la Pieve della Madonna dell'Assunta, ben individuabile per l'austero campanile a cuspide piramidale. La comunità era proprietaria, assieme al Comune di Trento, del Monte Bondone e una "Carta di Regola" ne stabiliva i diritti territoriali.
Attualmente i suoi abitanti sono poco meno di 400 e pochissime sono le attività site in loco. La maggior parte degli abitanti è impiegata a Trento o nella vicina Valle dei Laghi. Denominato semplicemente Baselga, fu comune autonomo sino al 1928, anno in cui divenne frazione di Terlago. Ricostituito nel 1947 (dal 1955 si chiamò Baselga di Vezzano), nel 1968 fu nuovamente soppresso e incorporato a Trento. Fino agli anni '80 era presente una stazione di cura che offriva bagni di fieno per le malattie epidermiche, famosi in tutta la zona.
Attualmente i suoi abitanti sono poco meno di 400 e pochissime sono le attività site in loco. La maggior parte degli abitanti è impiegata a Trento o nella vicina Valle dei Laghi. Denominato semplicemente Baselga, fu comune autonomo sino al 1928, anno in cui divenne frazione di Terlago. Ricostituito nel 1947 (dal 1955 si chiamò Baselga di Vezzano), nel 1968 fu nuovamente soppresso e incorporato a Trento. Fino agli anni '80 era presente una stazione di cura che offriva bagni di fieno per le malattie epidermiche, famosi in tutta la zona.
La chiesa della Madonna Assunta, già Pieve di Sopramonte (559 m.), sorge isolata con sagrato panoramico sulla conca di Terlago. E' provata la sua esistenza già nel 1183 col nome, appunto,di Pieve di Sopramonte a cui facevano capo ben sette ville: Baselga, Vigolo, Terlago, Còvelo, Cadine, Oveno, e Sardagna. Nel 1205 si staccarono da essa Terlago e Covelo che fecero Pieve a sé. Sardagna nel XV sec. venne aggregata alla Pieve di Trento, Oveno, che dalla fine del XIV sec. era diventato Sopramonte, fu eretta a curazia nel 1625 e poi parrocchia nel 1854. La Pieve rimase dunque a servire le restanti ville di Vigolo e Cadine le cui chiese peraltro furono erette a curazia rispettivamente nel 1802 e nel 1817. Punto di riferimento non solo religioso ma anche civico delle comunità aderenti, il complesso comprendeva, oltre alla chiesa col battistero, anche il cimitero, la casa dei sacerdoti, la casa delle decime e dei servizi. La chiesa è gotica su impianto romanico. Sul portale d'ingresso è scolpita la data del 1586. Del primigenio fabbricato medievale rimane il campanile con bifore romaniche e cuspide più tardiva in smolleri di porfido. L'interno è a croce latina con archi e capitelli in calcare rosso e bianco. Le volte a crocierea sono percorse da costoloni in calcare bianco. Il pavimento è a grandi lastroni di calcare rosso consumati dall'usura del tempo. La pietra tombale terragna davanti al presbiterio riporta un' epigrafe ormai illeggibile. La cantoria è in legno, ornata di pitture barocche ed è sorretta da due colonne inanellate dall'acquasantiera. A sinistra dell'ingresso v'è il battistero affiancato da una medievale urna in pietra infissa sulla muratura. La cappella laterale di sinistra accoglie un prezioso altare ligneo, intagliato e dorato, datato 1634. La cappella opposta conserva un altare marmoreo con ancona lignea e un crocifisso del XVII sec. Tra le cappelle laterali ed il presbiterio, su entrambi i lati, si aprono due porticine gotiche con cornice in calcare rosso. Sopra, due grandi tele raffiguranti i Re Magi a sx. e la Natività a dx. Lacerti di affreschi sono leggibili ai lati del presbiterio. Quest'ultimo è a volta a crociera. Negli spicchi sono dipinti quattro medaglioni raffiguranti altrettanti evangelisti. Ai piedi dell'arco santo sono conservati due brevi tratti di balaustra. L'altare maggiore è in marmo. Sul fondo dell'abside una grande ancona barocca in marmo, finemente lavorata, disegna alla sommità un piccolo ovale vetrato raffigurante l'occhio di Dio. L'ancona accoglie la grande pala dipinta della Madonna dell'Assunta. Dalla porticina laterale si esce nello stretto spazio che divide la chiesa dalla canonica. La canonica è un notevole edificio cinquecentesco su precedente impostazione, che conserva, al suo interno, affreschi mitologici del XVI sec. e una sala con soffitto ligneo e tracce di un frisio ad affresco.
Il nome Supramonte stava storicamente a indicare l'intera regione montana comprendente più villaggi. Ovéno è la matrice del villaggio che oggi ha il nome di Sopramonte. Secondo la leggenda Oveno, che significherebbe “luogo di ovini”, avrebbe accolto i primi insediamenti di pastori stabilitisi attorno ad un laghetto, a circa 1500 metri di quota. La grande frana del Lavè avrebbe distrutto tutto cancellando ogni prova concreta sia del villaggio che del laghetto. Documentata è comunque la presenza di abitatori in questi luoghi fino a circa 12000 anni fa, quando i primi cacciatori si spinsero sulle praterie delle Viotte in cerca di selvaggina. Molto antico è pure il tragitto che da Sopramonte per Camponzin scendeva a Trento. Costituiva un'alternativa al difficile passaggio del Bus de Vela. L'ampio anfiteatro di Sopramonte si prestava perciò egregiamente, anche per la sua stessa morbida morfologia e per la sua favorevole situazione climatica, sia ai traffici intervallivi che allo stanziamento umano.
Le prime menzioni scritte della zona risalgono al secolo XII. Si riferiscono ad un anonimo pievano in “Plebatu Supramontis”. Era l'anno 1183. Nel 1205 si ha notizia che il territorio, compresa l'antica pieve di S.Maria Assunta di Baselga di Sopramonte, era composto dalle ville di Oveno, Cadine, Vigolo, Baselga, Sardagna, Terlago e Covelo. L'intera zona era indivisa, costituendo un'unica Comunità economico-amministrativa, detta “Supramonte”. Oveno ne era la “capitale” ed era la sede del Decano. La sua residenza era collocata nel vistoso fabbricato a settentrione del campanile dell'antica chiesa. Con la soppressione del Principato Vescovile di Trento, avvenuta nel 1803, l'edificio passò in proprietà della famiglia Vecchietti. L'ultima memoria toponomastica documentata ufficialmente di Oveno è del 1445. Si ritrova negli atti riguardanti il possesso del Monte Vasone. Da allora in poi il villaggio si indicò sempre con il nome di Sopramonte. Da qualche anno, nei primi fine settimana di ottobre (negli anni pari) si svolge la Festa delle Rimanie, che rimanda il paese per qualche sera alla sua antica dimensione medioevale, con figuranti in costume (del paese e non) e luci soffuse, per un suggestivo ritorno al passato.
Il centro storico conserva l'organizzazione urbanistica suggerita dalla positura di terrazzo e la struttura edilizia spontanea è piacevolmente alternata da inserti rustico-signorili. Accanto ai pregevoli edifici patrizi contraddistinti da portali in pietra, si affiancano infatti elementi di architettura rurale quali i ballatoi dei sottogronda o gli ampi androni voltati, d'accesso alle cantine e alle stalle. L'importanza residenziale di Sopramonte va ricercata nello stanziamento di famiglie della nobiltà o della borghesia, urbana o rurale, che a Sopramonte avevano consistenti beni fondiari e che qui trascorrevano le stagioni estive e autunnali.
Per Sopramonte, ad esempio, transitarono, o vi sostarono, alcuni eminenti personaggi presenti al Concilio di Trento diretti o provenienti dal Garda. Tra di essi i cardinali legati Giovanni M.Del Monte (poi Papa Giulio III), Marcello Cervini (poi Papa Marcello III), Marco Altaemps, i cardinali Alessandro Farnese ed Ercole Gonzaga, il teologo spagnolo Giacomo Lainez, il marchese Alfonso del Vasto e altri. Nelle foreste che si estendono sulle pendici del Bondone, si dice, andò a caccia Carlo V.
Dai tetti di coppi rossi emerge il massiccio campanile medievale costruito, secondo la tradizione, con le pietre del diroccato Castelpiano. E' ciò che resta dell'antica chiesa di S.Valentino costruita attorno al XIV sec. Nel 1845 venne abbattuta. Al suo posto fu costruito il nuovo edificio intitolato al Sacro Cuore. Anticamente la Chiesa di Sopramonte dipendeva dalla pieve di Baselga. Solo nel XVII secolo (1672) fu eletta a curazia,(parrocchia nel 1854), soggetta alla chiesa matrice e al parroco di S.Maria di Baselga di Sopramonte.
La canonica venne costruita nel 1713 ed aveva l'ingresso in posizione frontale rispetto alla porta maggiore della vecchia Chiesa.
Dossolo - Staccato dal resto del paese grazie alla strada provinciale 85, il gruppo di case del Dòssol, rappresenta forse il nucleo più antico di Sopramonte, raccolto com'è su di un dosso roccioso lambito dal Rio Spineda. Al Dòssol avevano la residenza estiva gli Alberti-Colico e gli Alberti-Poja. Tra le vecchie case è ancora esistente la “Ca' di Dio”, una volta sede della Confraternita dei Flagellanti, la cui costruzione è databile attorno al 1400. La Confraternita ebbe origine nel 1260. I suoi adepti, che avevano per emblema il flagello formato da un mazzo di cordicelle, venivano chiamati Battuti o Flagellanti. Il Governo Bavarese, nel 1809, soppresse questa disciplina. La “Ca di Dio” del Dòssol riportava fino al 1956, anno della sua ristrutturazione, sulla chiave di volta del portale, la sigla “H.E.D.B.L.” che stava a significare questa è la casa dei battuti laici (haec est domus batutorum laicorum). La sigla era accompagnata da una croce con flagello. Sulla piazzetta, contornata da alcune case che recano l'impronta delle residenze signorili di campagna del passato, sorge la chiesa di S.Antonio da Padova, con campanile a vela e campana. La bella epigrafe latina murata all'interno, a sin. Della porta, fu fatta porre da Francesco Antonio de Alberti, “consigliere, cancelliere aulico e massaro” alla cui proprietà il sacro edificio era annesso. Ricorda che nell'agosto 1697 il principe vescovo di Trento Giovanni Michele dei conti Spaur ivi conferì i quattro ordini minori a G.B. De Gentilotti. Fino al 1848 la chiesetta era per metà dei conti Alberti mentre l'altra metà era dei fratelli Ravagni, dei Nardelli-Timotin e dei fratelli Girardi di Pietrapiana. Con l'obbligo di Celebrare una messa ogni 13 giugno, festa del suo patrono, la chiesetta venne ceduta alla chiesa di Sopramonte.
Castelpiano - La breve salita che dalla piazzetta di Dossolo porta al largo pianoro di Castelpiano è detto la “Scaletta” per via della serie di gradini scavati nella roccia calcarea in epoca imprecisata, senza dubbio remota. Sembra sia la derivazione di una variante della strada vicinale romana che collegava Sopramonte a Baselga proseguendo quindi per la Valle dei Laghi. Il paesaggio e fortemente caratterizzato dalle tracce di una lunga quanto persistente azione umana che la flora selvaggia sta lentamente ricucendo. Nasconde tra le sue pieghe una vicenda arcaica quanto misteriosa. Lo attestano le testimonianze archeologiche che ha restituito. Si tratta di relitti risalenti ai primi secoli dopo Cristo, cioè della romanità. Essi trovano una continuità nel tempo in quelli, ben più antichi e attribuiti alla fase finale dell'età del bronzo, circa il XII secolo A.C., allorchè da noi fioriva la cultura medio-alpina detta di Luco (Laugen), posti in lucesul Dos de la Gròa, verso Sardagna. Sul Doss del Grum di Cadine fu invece rinvenuta una lapide romana del II secolo d.C. Dedicata al Dio Mercurio, ora murata sulla chiesa del luogo. Il dosso della Croce, o Castelàr, sovrasta la piana di Castelpiano, conforma la triade di castellieri preistorici che contorna significativamente la regione all'imbocco montano di occidente della conca di Trento.
Santuario-Monastero di S.Anna – Dal Maso Ghenzi, fabbricato forse una volta strettamente legato alla vita del monastero, ci si immette nel bosco e attraverso la zona detta La Pinara si arriva al cospetto del monastero-santuario di S.Anna. Il complesso è costituito dalla chiesetta, dedicata appunto a S.Anna, dalla villa con vistosi interventi ottocenteschi; dalla casa detta del Preposto, dai chiari inserti rurali. Un moderno edificio rompe l'armonia dell'aggregato inserendosi sfacciatamente tra l'ordine edificiale. Due fontane di pietra, completano l'ameno spaccato urbanistico inserito in uno spettacolare paesaggio “a parco”. Grosse piante di abete e ippocastano ombreggiano il giadino di fronte alla villa separandola dalle estese praterie. Sul luogo esisteva un monastero medievale che ospitava monache e monaci viventi secondo la Regola di S.Agostino e dediti alla vita contemplativa, al servizio di Dio e del prossimo. L'importanza dell'istituzione monastica dovrebbe essere stata notevole se già nel XIII sec. Due papi si interessarono dei suoi problemi. Le prime notizie frammentarie risalgono al XII sec. Tuttavia la prima menzione sicura è del 1234 quando vengono nominati “Andrea e Belendis fratres de S.Annae” testimoni alla cessione del monastero benedettino di S.Lorenzo, ai Domenicani. Da allora in poi le informazioni si fanno abbastanza frequenti per tutto il XIII e XIV sec. Il monastero aveva numerosi possedimenti, anche in regioni lontane, in Val di Non, a Meano, in Pinè, a Trento. Vescovi e nobili si preoccuparono, infatti, del suo sostentamento attraverso elemosine e donazioni terriere.
La “Val de le Moneghe” nel territorio montano di Calavino, presso la Palinegra, è una delle memorie toponomastiche delle donazioni medievali nobiliari, nel nostro caso dei signori di Castel Madruzzo, fatte al monastero. Nel 1240 il monastero è detto di “S.Anna de Roncodonico”. Una trentina di anni dopo il Principe vescovo di Trento Egnone dei conti di Appiano lo concesse in investitura agli “Umiliati di S.Luca” di Brescia. Incorporato nel 1450 all'abbazia benedettina che da S.Lorenzo si era trasferita a S. Apollinare di Piedicastello, ne seguì le sorti fino a che, con la partenza dei Benedettini, i suoi beni furono incorporati nella prepositura capitolare. Da allora fino alla sua alienazione, il monastero e i beni annessi furono amministrati dai preposti. Costoro dovevano provvedere alla manutenzione della chiesa, avevano il diritto della residenza estiva ed al godimento dei redditi dell'antico monastero. Da cenobio agostiniano, il luogo divenne santuario molto frequentato, mèta di pellegrinaggi anche da lunga distanza. Vi si veniva infatti dai villaggi della “Valle dei Laghi”, dalla zona di Trento e dintorni. Di particolare interesse l'azione del preposto Udalrico Kneusel. Nell'ultimo ventennio del secolo XV egli provvide al restauro della chiesa, alla sua dotazione, alla costruzione del massiccio fabbricato lineare che conclude a nord lo spazio verde e che reca sul portale gotico il suo stemma di pietra. Fece altresì spianare il vecchio edificio monastico che era in rovina. Sembra che esso si trovasse nello spazio oggi tenuto ad orto antistante la villa. Lavori alla chiesetta furono portati anche dal preposto Andrea d'Austria, figlio dell'Arciduca Ferdinando che, dotò la chiesa di 2 altari a colonne lignee. Il comprensorio agro-pastorale-forestale di S.Anna venne concesso in locazione a varie famiglie che vi risiedevano stabilmente. Sembra che primi livellatori fossero i Cimadom. Si sa infatti che costoro ricevettero l'investitura dei luoghi nel 1581 dietro il pagamento di 32 ragnesi. Nel 1840 la tenuta di S.Anna era proprietà dei fratelli Moar. Per opera loro notevoli modifiche furono apportate alla chiesetta. La porta principale venne spostata dal prospetto occidentale a quello orientale, spostando anche l'altare fatto erigere da Luduino Piccolomini nella seconda metà del 1600. Chiusa la porta, sul prospetto settentrionale fu creata la spianatura dinnanzi alla nuova porta principale. Altri proprietari si susseguirono nel possesso di S. Anna finchè nel 1970 passò definitivamente in proprietà dell'amministrazione separata Usi Civici di Sopramonte. Il 26 luglio vi si celebra la Sagra di S.Anna.
Una vicenda storica, non del tutto chiarita, avrebbe coinvolto il monastero nei primi anni del XIV secolo. Si tratta della presunta presenza di fra Dolcino, ospite degli Umiliati di S.Anna. Il noto eresiarca novarese fu nell'Alto Garda, in Val del Chiese nel 1302-1303, in seguito ai suoi spostamenti per predicare la sua dottrina, detta Apostolica. Tra i suoi intendimenti c'erano l'abilizione della gerarchia ecclesiastica, della differenza fra preti e laici, della proprietà personale ed altre libertà estremamente controcorrente in un'epoca nella quale la Chiesa recitava un ruolo fondamentale nella vita quotidiana. Si narra che fu in questa occasione che si invaghì di Margherita Frank. Storicamente conosciuta come Margherita da Trento, è ritenuta tradizionalmente nativa della Val di Ledro e residente ad Arco. Quando Margherita entrò nel monastero di S. Anna, fra Dolcino l'avrebbe seguita vestendo labito degli Umiliati e confondendosi tra i religiosi del convento. Quando scoperto, dovette fuggire, Margherita lo seguì. In effetti la storia si fa leggenda. In realtà, Dolcino chiamava in una delle sue lettere Margherita “amatissima sorella in Cristo”. Essa lo seguì in Piemonte dove, secondo alcuni, ma la cosa non è certa, sarebbe con lui finita sul rogo.
Le prime menzioni scritte della zona risalgono al secolo XII. Si riferiscono ad un anonimo pievano in “Plebatu Supramontis”. Era l'anno 1183. Nel 1205 si ha notizia che il territorio, compresa l'antica pieve di S.Maria Assunta di Baselga di Sopramonte, era composto dalle ville di Oveno, Cadine, Vigolo, Baselga, Sardagna, Terlago e Covelo. L'intera zona era indivisa, costituendo un'unica Comunità economico-amministrativa, detta “Supramonte”. Oveno ne era la “capitale” ed era la sede del Decano. La sua residenza era collocata nel vistoso fabbricato a settentrione del campanile dell'antica chiesa. Con la soppressione del Principato Vescovile di Trento, avvenuta nel 1803, l'edificio passò in proprietà della famiglia Vecchietti. L'ultima memoria toponomastica documentata ufficialmente di Oveno è del 1445. Si ritrova negli atti riguardanti il possesso del Monte Vasone. Da allora in poi il villaggio si indicò sempre con il nome di Sopramonte. Da qualche anno, nei primi fine settimana di ottobre (negli anni pari) si svolge la Festa delle Rimanie, che rimanda il paese per qualche sera alla sua antica dimensione medioevale, con figuranti in costume (del paese e non) e luci soffuse, per un suggestivo ritorno al passato.
Il centro storico conserva l'organizzazione urbanistica suggerita dalla positura di terrazzo e la struttura edilizia spontanea è piacevolmente alternata da inserti rustico-signorili. Accanto ai pregevoli edifici patrizi contraddistinti da portali in pietra, si affiancano infatti elementi di architettura rurale quali i ballatoi dei sottogronda o gli ampi androni voltati, d'accesso alle cantine e alle stalle. L'importanza residenziale di Sopramonte va ricercata nello stanziamento di famiglie della nobiltà o della borghesia, urbana o rurale, che a Sopramonte avevano consistenti beni fondiari e che qui trascorrevano le stagioni estive e autunnali.
Per Sopramonte, ad esempio, transitarono, o vi sostarono, alcuni eminenti personaggi presenti al Concilio di Trento diretti o provenienti dal Garda. Tra di essi i cardinali legati Giovanni M.Del Monte (poi Papa Giulio III), Marcello Cervini (poi Papa Marcello III), Marco Altaemps, i cardinali Alessandro Farnese ed Ercole Gonzaga, il teologo spagnolo Giacomo Lainez, il marchese Alfonso del Vasto e altri. Nelle foreste che si estendono sulle pendici del Bondone, si dice, andò a caccia Carlo V.
Dai tetti di coppi rossi emerge il massiccio campanile medievale costruito, secondo la tradizione, con le pietre del diroccato Castelpiano. E' ciò che resta dell'antica chiesa di S.Valentino costruita attorno al XIV sec. Nel 1845 venne abbattuta. Al suo posto fu costruito il nuovo edificio intitolato al Sacro Cuore. Anticamente la Chiesa di Sopramonte dipendeva dalla pieve di Baselga. Solo nel XVII secolo (1672) fu eletta a curazia,(parrocchia nel 1854), soggetta alla chiesa matrice e al parroco di S.Maria di Baselga di Sopramonte.
La canonica venne costruita nel 1713 ed aveva l'ingresso in posizione frontale rispetto alla porta maggiore della vecchia Chiesa.
Dossolo - Staccato dal resto del paese grazie alla strada provinciale 85, il gruppo di case del Dòssol, rappresenta forse il nucleo più antico di Sopramonte, raccolto com'è su di un dosso roccioso lambito dal Rio Spineda. Al Dòssol avevano la residenza estiva gli Alberti-Colico e gli Alberti-Poja. Tra le vecchie case è ancora esistente la “Ca' di Dio”, una volta sede della Confraternita dei Flagellanti, la cui costruzione è databile attorno al 1400. La Confraternita ebbe origine nel 1260. I suoi adepti, che avevano per emblema il flagello formato da un mazzo di cordicelle, venivano chiamati Battuti o Flagellanti. Il Governo Bavarese, nel 1809, soppresse questa disciplina. La “Ca di Dio” del Dòssol riportava fino al 1956, anno della sua ristrutturazione, sulla chiave di volta del portale, la sigla “H.E.D.B.L.” che stava a significare questa è la casa dei battuti laici (haec est domus batutorum laicorum). La sigla era accompagnata da una croce con flagello. Sulla piazzetta, contornata da alcune case che recano l'impronta delle residenze signorili di campagna del passato, sorge la chiesa di S.Antonio da Padova, con campanile a vela e campana. La bella epigrafe latina murata all'interno, a sin. Della porta, fu fatta porre da Francesco Antonio de Alberti, “consigliere, cancelliere aulico e massaro” alla cui proprietà il sacro edificio era annesso. Ricorda che nell'agosto 1697 il principe vescovo di Trento Giovanni Michele dei conti Spaur ivi conferì i quattro ordini minori a G.B. De Gentilotti. Fino al 1848 la chiesetta era per metà dei conti Alberti mentre l'altra metà era dei fratelli Ravagni, dei Nardelli-Timotin e dei fratelli Girardi di Pietrapiana. Con l'obbligo di Celebrare una messa ogni 13 giugno, festa del suo patrono, la chiesetta venne ceduta alla chiesa di Sopramonte.
Castelpiano - La breve salita che dalla piazzetta di Dossolo porta al largo pianoro di Castelpiano è detto la “Scaletta” per via della serie di gradini scavati nella roccia calcarea in epoca imprecisata, senza dubbio remota. Sembra sia la derivazione di una variante della strada vicinale romana che collegava Sopramonte a Baselga proseguendo quindi per la Valle dei Laghi. Il paesaggio e fortemente caratterizzato dalle tracce di una lunga quanto persistente azione umana che la flora selvaggia sta lentamente ricucendo. Nasconde tra le sue pieghe una vicenda arcaica quanto misteriosa. Lo attestano le testimonianze archeologiche che ha restituito. Si tratta di relitti risalenti ai primi secoli dopo Cristo, cioè della romanità. Essi trovano una continuità nel tempo in quelli, ben più antichi e attribuiti alla fase finale dell'età del bronzo, circa il XII secolo A.C., allorchè da noi fioriva la cultura medio-alpina detta di Luco (Laugen), posti in lucesul Dos de la Gròa, verso Sardagna. Sul Doss del Grum di Cadine fu invece rinvenuta una lapide romana del II secolo d.C. Dedicata al Dio Mercurio, ora murata sulla chiesa del luogo. Il dosso della Croce, o Castelàr, sovrasta la piana di Castelpiano, conforma la triade di castellieri preistorici che contorna significativamente la regione all'imbocco montano di occidente della conca di Trento.
Santuario-Monastero di S.Anna – Dal Maso Ghenzi, fabbricato forse una volta strettamente legato alla vita del monastero, ci si immette nel bosco e attraverso la zona detta La Pinara si arriva al cospetto del monastero-santuario di S.Anna. Il complesso è costituito dalla chiesetta, dedicata appunto a S.Anna, dalla villa con vistosi interventi ottocenteschi; dalla casa detta del Preposto, dai chiari inserti rurali. Un moderno edificio rompe l'armonia dell'aggregato inserendosi sfacciatamente tra l'ordine edificiale. Due fontane di pietra, completano l'ameno spaccato urbanistico inserito in uno spettacolare paesaggio “a parco”. Grosse piante di abete e ippocastano ombreggiano il giadino di fronte alla villa separandola dalle estese praterie. Sul luogo esisteva un monastero medievale che ospitava monache e monaci viventi secondo la Regola di S.Agostino e dediti alla vita contemplativa, al servizio di Dio e del prossimo. L'importanza dell'istituzione monastica dovrebbe essere stata notevole se già nel XIII sec. Due papi si interessarono dei suoi problemi. Le prime notizie frammentarie risalgono al XII sec. Tuttavia la prima menzione sicura è del 1234 quando vengono nominati “Andrea e Belendis fratres de S.Annae” testimoni alla cessione del monastero benedettino di S.Lorenzo, ai Domenicani. Da allora in poi le informazioni si fanno abbastanza frequenti per tutto il XIII e XIV sec. Il monastero aveva numerosi possedimenti, anche in regioni lontane, in Val di Non, a Meano, in Pinè, a Trento. Vescovi e nobili si preoccuparono, infatti, del suo sostentamento attraverso elemosine e donazioni terriere.
La “Val de le Moneghe” nel territorio montano di Calavino, presso la Palinegra, è una delle memorie toponomastiche delle donazioni medievali nobiliari, nel nostro caso dei signori di Castel Madruzzo, fatte al monastero. Nel 1240 il monastero è detto di “S.Anna de Roncodonico”. Una trentina di anni dopo il Principe vescovo di Trento Egnone dei conti di Appiano lo concesse in investitura agli “Umiliati di S.Luca” di Brescia. Incorporato nel 1450 all'abbazia benedettina che da S.Lorenzo si era trasferita a S. Apollinare di Piedicastello, ne seguì le sorti fino a che, con la partenza dei Benedettini, i suoi beni furono incorporati nella prepositura capitolare. Da allora fino alla sua alienazione, il monastero e i beni annessi furono amministrati dai preposti. Costoro dovevano provvedere alla manutenzione della chiesa, avevano il diritto della residenza estiva ed al godimento dei redditi dell'antico monastero. Da cenobio agostiniano, il luogo divenne santuario molto frequentato, mèta di pellegrinaggi anche da lunga distanza. Vi si veniva infatti dai villaggi della “Valle dei Laghi”, dalla zona di Trento e dintorni. Di particolare interesse l'azione del preposto Udalrico Kneusel. Nell'ultimo ventennio del secolo XV egli provvide al restauro della chiesa, alla sua dotazione, alla costruzione del massiccio fabbricato lineare che conclude a nord lo spazio verde e che reca sul portale gotico il suo stemma di pietra. Fece altresì spianare il vecchio edificio monastico che era in rovina. Sembra che esso si trovasse nello spazio oggi tenuto ad orto antistante la villa. Lavori alla chiesetta furono portati anche dal preposto Andrea d'Austria, figlio dell'Arciduca Ferdinando che, dotò la chiesa di 2 altari a colonne lignee. Il comprensorio agro-pastorale-forestale di S.Anna venne concesso in locazione a varie famiglie che vi risiedevano stabilmente. Sembra che primi livellatori fossero i Cimadom. Si sa infatti che costoro ricevettero l'investitura dei luoghi nel 1581 dietro il pagamento di 32 ragnesi. Nel 1840 la tenuta di S.Anna era proprietà dei fratelli Moar. Per opera loro notevoli modifiche furono apportate alla chiesetta. La porta principale venne spostata dal prospetto occidentale a quello orientale, spostando anche l'altare fatto erigere da Luduino Piccolomini nella seconda metà del 1600. Chiusa la porta, sul prospetto settentrionale fu creata la spianatura dinnanzi alla nuova porta principale. Altri proprietari si susseguirono nel possesso di S. Anna finchè nel 1970 passò definitivamente in proprietà dell'amministrazione separata Usi Civici di Sopramonte. Il 26 luglio vi si celebra la Sagra di S.Anna.
Una vicenda storica, non del tutto chiarita, avrebbe coinvolto il monastero nei primi anni del XIV secolo. Si tratta della presunta presenza di fra Dolcino, ospite degli Umiliati di S.Anna. Il noto eresiarca novarese fu nell'Alto Garda, in Val del Chiese nel 1302-1303, in seguito ai suoi spostamenti per predicare la sua dottrina, detta Apostolica. Tra i suoi intendimenti c'erano l'abilizione della gerarchia ecclesiastica, della differenza fra preti e laici, della proprietà personale ed altre libertà estremamente controcorrente in un'epoca nella quale la Chiesa recitava un ruolo fondamentale nella vita quotidiana. Si narra che fu in questa occasione che si invaghì di Margherita Frank. Storicamente conosciuta come Margherita da Trento, è ritenuta tradizionalmente nativa della Val di Ledro e residente ad Arco. Quando Margherita entrò nel monastero di S. Anna, fra Dolcino l'avrebbe seguita vestendo labito degli Umiliati e confondendosi tra i religiosi del convento. Quando scoperto, dovette fuggire, Margherita lo seguì. In effetti la storia si fa leggenda. In realtà, Dolcino chiamava in una delle sue lettere Margherita “amatissima sorella in Cristo”. Essa lo seguì in Piemonte dove, secondo alcuni, ma la cosa non è certa, sarebbe con lui finita sul rogo.
sardagna
Sardagna è oggi una frazione del Comune di Trento localizzata su un antico terrazzo glaciale della destra Adige. Il paese è localizzato intorno ai 600 m s.l.m. sul versante orientale del Monte Bondone. Sembra che i primi abitanti di questo piccolo terrazzo eressero un piccola chiesetta nel 1.200 dedicandola ai SS. Filippo e Giacomo (visibile da Trento). Il paese andò col tempo ingrandendosi e, nel 1742, fu eretta la nuova chiesa nel centro del paese con funzioni di Chiesa principale. L'11 febbraio 1910 Sardagna, oramai divenuta Comune, fu elevata allo status di Parrocchia. Gli abitanti di quel tempo erano 750. Nel 1926, per Regio decreto, il Comune di Sardagna (assieme ad altri 10 comuni limitrofi) fu assorbito dal Comune di Trento. Non è chiara l'etimologia del nome Sardagna. Una delle ipotesi ad oggi più accreditate fa derivare questo toponimo dal latino volgare che tradotto in italiano sarebbe "terra estirpata dai rovi" ovvero "suolo disboscato". Il territorio della circoscrizione si estende per circa 866 ettari sulle pendici orientali del Monte Bondone. Al 31/12/2009 gli abitanti erano 1100. Poco distante dal centro, su una piccola altura a picco sul fiume Adige sottostante, trovasi l'arrivo della funivia che dal 1960 ha sostituito la precedente, distrutta durante la II° Guerra mondiale e che collega il capoluogo al paesino. 500 m. di dislivello superato in poco meno di 5 minuti, 1200 m. di lunghezza e due cabine della portata di 13 passeggeri cadauna sono i numeri della struttura. Alla stazione a monte si gode di uno stupendo panorama sulla città e sulla Valle sottostante (soprattutto dalla terrazza dell'annesso Centro Congressi, aperta nonostante il Centro sia chiuso). Alcuni angoli del paese sono stati recentemente abbelliti con murales raffiguranti la vita contadina di Sardagna fra l'800 e il '900. Per ciò che riguarda l'economia del paese, la parte del leone la fanno le castagne. Con il loro grande valore nutrizionale, hanno sempre rappresentato per le popolazioni locali una fonte preziosa di alimento. Le piante fornivano il frutto, il legno ed il tannino impiegato principalmente come medicinale e sostanza colorante. La qualità denominata "maroni di Sardagna" è molto apprezzata.
trento
Già circa sette mila anni prima di Cristo, nel periodo seguente il ritiro delle ultime grandi glaciazioni, la Valle dell'Adige era colonizzata da genti mesolitiche in relazioni culturali con il nord e con il sud. Le importanti stazioni archeologiche del Località di Romagnano, del Riparo Gaban, il sepolcreto di Vela, oltre ai numerosi ulteriori reperti rinvenuti nel territorio, dimostrano come i colonizzatori di questa regione abbiano vissuto in pieno la complessa vicenda preistorica europea e come la Valle dell'Adige in epoca mesolitica fosse stata un tramite culturale notevolissimo tra Mitteleuropa e Mediterraneo. Quale centro organizzato Trento prese probabilmente dimensione nel V secolo prima di Cristo, nell'orizzonte della civiltà del ferro detta La Téne. Il piccolo oppidum celto-retico fu in seguito trasformato in piazzaforte romana, campo base della spedizione d'Augusto contro i Reti, poi tappa delle legioni da e per il Danubio. Fu sempre quindi un punto di passaggio aspramente ambito e conteso. Trento fu sede di Municipio, nodo di traffici sulla grande strada militare, la Claudia Augusta Padana, con uno sviluppo urbano di circa 17 mila metri quadrati. Trento fu sede di un ducato dei Goti, poi dei Longobardi. La Verruca, antico castelliere e luogo di rifugio per eccellenza, fu fortificata da Teodorico dinanzi all'incalzare dei barbari. La città venne quindi in mano ai Franchi di Carlo Magno, al cui regno fu aggregata come "Marca Tridentina" nel 774. Due secoli dopo Ottone I la tolse al regno di Berengario II e la inserì nel Sacro Romano Impero. Da allora, e per otto secoli e mezzo, Trento ed il suo territorio entrarono nell'area di attrazione dell'Impero romanico-germanico prima e di quello d'Austria poi. Data fondamentale per la storia di Trento è il 1027, allorché l'imperatore Corrado II il Salico donò in perpetuo e consegnò e confermò alla Chiesa di S. Vigilio il Comitato tridentino. Era allora vescovo Udalrico II. Da allora Trento fu per 776 anni capitale di uno stato autonomo, pur nella vasta organizzazione feudale dell'impero. Il vescovo-conte, che dal XIII secolo si chiamò principe, reggeva le sorti religiose e politico-militari del suo feudo. Aveva sede nel palazzo vescovile tra la cattedrale e la Torre di città. La storia medievale di Trento è contraddistinta dalla lotta contro l'espansione politica e territoriale dei conti del Tirolo che da "avvocati" e vassalli del vescovo, ne divennero i "protettori" e, in qualche movimentato periodo, praticamente i padroni. Nel XIII secolo un grande vescovo, Federico Vanga (1207-1218) riordinò il Principato socialmente e politicamente, mettendo a freno i feudatari. Verso la metà di questo secolo la sede del principe vescovo venne trasferita nel più munito Castello del Malconsey, che con neologismo augurale divenne Buonconsey, Buonconsiglio. Con la cessione dei possedimenti dei conti del Tirolo ai duchi d'Austria, del 1363, iniziò a Trento e nel Trentino in generale l'influenza degli Asburgo. Altro illuminato principe vescovo della storia trentina fu Bernardo Clesio (1541-1539). Di statura europea, seppe dare un forte sviluppo al Principato e impose alla città l'attuale volto urbanistico rinascimentale. La predispose inoltre al grande Concilio ecumenico tridentino, che egli non poté vedere. All'inizio del Settecento la città fu bombardata nella guerra di successione spagnola. La pace di Luneville del 1803 secolarizzò il Principato. Movimentati furono gli anni a seguire, che videro Trento rientrare nel Regno di Baviera, nel Regno Italico e, finalmente, dopo la batta glia di Lipsia, Trento e il suo territorio furono consegnati nel 1915 all'Austria. Nell'Ottocento la città si espanse oltre la cinta murata predisponendosi a quella che sarà la città moderna. Dopo la prima guerra mondiale Trento diviene capoluogo di provincia italiano. Dal 1948, vale a dire dopo la seconda guerra mondiale, Trento è sede del governo della Regione a statuto speciale Trentino - Alto Adige.
I recenti lavori archeologici e di restauro hanno dimostrato l'antichità della chiesa di S.Apollinare mettendo in luce l'impianto dell'edificio romanico, costruito dai benedettini alla fine del XIII sec., probabilmente sui resti della primitiva chiesa dei secoli V-VI, eretta dai Goti di Teodorico e forse destinata al rito ariano. La facciata, altissima, è scandita dal portale romanico strombato, ornato di rilievi zoomorfi, dal rosone ottocentesco e dalle numerose finestre gotiche aperte nella sommità. Ai lati del portale pallide tracce di affreschi con i santi Apollinare, Benedetto, Lorenzo e Cristoforo. Un'edicola recante tracce di un'Annunciazione accoglie il sarcofago degli abati, con la figura dell'anima di un monaco portata in cielo dagli angeli, opera tra le più notevoli della scultura trecentesca in Trentino. I fianchi dell'edificio sono scanditi da lesene che conservano inserti di frammenti lapidei di età romana, vero e proprio museo lapidario dove compaiono fregi con girali di fiori, cervi e grifoni e iscrizioni dedicatorie, tra le quali una all'Imperatrice Faustina, moglie di Antonino il Pio e la lapide di Marco Apuleio, legato imperiale di Augusto, dtata 23 a.C. e testo fondamentale per la storia della Tridentum romana. L'abside è stata apposta alla fine dell'Ottocento, assieme al rosone che orna la facciata. Acanto alla chiesa l'esile campanile che, nei suoi diversi parati murari,testimonia dei successivi innalzamenti dall'epoca romanica fino al XV sec. L'interno della chiesa presenta due campate coperte da cupole ottagonali che interrompono la verticalità del progetto originale. Gli altari settecenteschi sono opera dei maestri di Castione: a destra l'altare con la Pala di S.Giovanni Nepomuceno, a sinistra quello con la venerata immagine dellla Madonna di Piedicastello, una Madonna con bimbo, pregevole affresco del 1320 del giottesco Niccolò da Padova, trasferito all'edicola esterna dopo che nel 1703 unsoldato francese l'avrebbe sfregiata al volto. L'altar maggiore, ornato da statue di Antonio Calegari (1721) reca la pala lignea di S.Apollinare, preziosa opera di artista della scuola Danubiana, fatta dipingere nel 1517 dal preposto Zulnart, raffigurato insieme al suo stemma ed ai simboli dei luoghi toccati dai suoi pellegrinaggi: Gerusalemme, S.Giacomo di Compostela e S.Caterina del Sinai. La figura di Cristo come uomo di dolore (Christus als Schmerzesmann), dipinta sul retro, è stata collocata sulla controfacciata della chiesa. Nella tarda primavera del 2012 la chiesa è stata riaperta alla frequentazione religiosa dopo lunghi lavori di restauro.
Accanto alla chiesa sorge la canonica, un tempo abitazione degli abati. Rara testimonianza di edificio due-trecentesco, l'edificio presenta due pregevoli bifore ogivali con colonnine ottagone e capitello a boccioli; conserva inoltre alcuni pregevoli dipinti: una tavola cinquecentesca di Paolo Naurizio con i santi Giacomo, Sebastiano, Rocco e Antonio abate, alcuni ex-voto e una Sacra Famiglia dipinta da Giacomo Micheli, pittore scomparso prematuramente nel 1848 e sepolto nel cimitero di S.Apollinare. Il piccolo cimitero, raccolto sul sagrato della chiesaall'ombra di annosi cipressi, allinea una serie di lapidi ottocentesche di valore storico e artistico, fra le quali, sospesa al muro, l'urna in pietra di Giacomo Micheli, opera dello scultore Werner, con raffigurati il pennello e la tavolozza del pittore. |
Santa Maria Maggiore fu eretta tra il 1520 e il 1524, sopra la medievale Santa Maria ad Nives per volere di Bernardo Clesio, dall'architetto comasco Antonio Medaglia. La Chiesa ospitò il terzo periodo del concilio di Trento (aprile 1562-dicembre 1563). La facciata fu rimaneggiata nei primi anni del XX secolo dall'architetto Emilio Paor ma conserva il magnifico portale cinquecentesco con lo stemma cardinalizio di Cristoforo Madruzzo. Notevole anche il più antico portalino che si apre sul fianco meridionale, fregiato dello stemma a Prato e ornato da altorilievi raffiguranti la Vergine, i santi Pietro e Giovanni e un angelo musicante. L'interno è ad aula unica con sei cappelle laterali e presbiterio rialzato. Tra le pale dell'altare, merita la massima considerazione quella della seconda cappella laterale a destra, raffigurante la Vergine col Bambino, San Giovanni Evangelista ed i Dottori della Chiesa: fu dipinta dal pittore bergamasco Giovanni Battista Moroni nel 1551 e può dunque essere considerata l'emblema del Concilio. Dalla parete sinistra del presbiterio sporge la cantoria, capolavoro degli scultori Vincenzo e Giovanni Girolamo Grandi (1534), mentre nulla rimane dell'organo di età conciliare, opera del maestro tedesco Caspar. Nella parete di fronte è murata la lapide funeraria del cardinale Gerolamo Seripando, recante l'epigrafe latina dettata dal confratello Cristoforo da Padova. Sulla volta si dispiega una decorazione pittorica interamente dedicata alla memoria del Concilio, che fu realizzata nel 1909 dal marchigiano Sigismondo Nardi. Essa si articola in quattro grandi riquadri raffiguranti: il Vangelo con i Padri della Chiesa; una congregazione generalein Santa Maria con figure allegoriche; una processione di Padri Conciliari; l'allegoria della Chiesa Cattolica con il rogo dei libri proibiti e la cacciata degli eretici. Tra i riquadri e il cornicione sono collocati i ritratti di alcuni protagonisti del Concilio: sul lato nord il Papa Paolo III, il cardinale Bernardo Clesio, il cardinale Borromeo e il Papa Giulio III; sul lato sud, proseguendo in senso orario, il Papa Marcello II, il cardinale Giovani Girolamo Morone, il cardinale Cristoforo Madruzzo e il Papa Pio IV. Sulla controfacciata sono dipinti i ritratti di Don Gaetano Duchi, committente dell'opera e del vescovo di Trento Carlo Valussi. Accanto alla Chiesa, sul lato settentrionale, si eleva la colonna eretta nel 1845 a ricordo del terzo centenario dell'apertura del Concilio, pesantemente danneggiato durante la seconda guerra mondiale. A partire dal 13 aprile 1562 in Santa Maria si tennero le congregazioni della terza fase del Concilio, quella conclusiva. A tale scopo venne allestita nella navata una tribuna ad emiciclo in legno, documentata da dipinti e incisioni. Nel marzo del 1563 la piazza antistante fu teatro di una rissa insorta tra ospiti spagnoli e italiani, che fu sedata solo dopo alcuni giorni. L'esterno è stato completamente ripulito e riportato allo stato originale nel 2007.
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La cattedrale di San Vigilio è il duomo di Trento situato nell'omonima piazza. E' la principale chiesa cittadina, edificata nel XIII sec. sull'area in cui era originariamente presente un'antica basilica dedicata a San Vigilio, da cui prende il nome e che è il Patrono della città. Era inizialmente fuori le mura poiché fungeva da chiesa cimiteriale: vi furono infatti sepolti San Vigilio ed i resti dei tre martiri Anauniensi Sisinio, Martirio ed Alessandro. L'imperatore austriaco Massimiliano I (autore del Landlibell, oggetto di una riuscita mostra nel 2011-2012) fu ivi incoronato Imperatore del Sacro Romano Impero il 4 febbraio 1508 dal Vescovo di Gurk Matthias Lang. Qui sono altresì sepolti la maggior parte dei vescovi di Trento, tra cui tutti i più recenti. Negli anni sessanta e settanta del XX sec. sono state eseguite importanti ricerche archeologiche nel sottosuolo absidale della basilica, che hanno modificato in parte anche la distribuzione interna della zona absidale.
Insigne tempio romanico, la cattedrale è uno scrigno di arte sacra con testimonianze pittoriche e plastiche dall'età paleocristiana al XIX sec. La facciata è caratterizzata da un grande rosone e da un portale romanico strombato. Sul fianco sinistro, che chiude a mezzogiorno la piazza del Duomo, si imposta un elegante protiro romanico con elementi gotici e rinascimentali, mentre nel transetto si apre il rosone con la ruota della Fortuna. Sul prospetto meridionale si imposta la Cappella del Crocifisso, elevata nel 1682 dal principe vescovo Francesco Alberti-Poja per ospitare il grande crocifisso ligneo davanti al quale furono proclamati i decreti conciliari: la figura di Cristo in croce è accompagnata dalle statue della Madonna e di San Giovanni Evangelista, anch'esse scolpite agli albori del Cinquecento dallo scultore Sistus Frei di Norimberga. Le grandi tele laterali sono di Karl Loth, gli affreschi della cupola di Giuseppe Alberti. All'ingresso della cappella, sui basamenti delle statue barocche della Maddalena e della Veronica, sono incise iscrizioni commemorative del Concilio e delle visite pontificie del 1782 (Pio VI) e del 1995 (Giovanni Paolo II). L'altare maggiore, ispirato al baldacchino berniniano di San Pietro a Roma, fu eretto tra il 1738 e il 1743 dall'architetto e scultore trentino Domenico Sartori.
Il Concilio si aprì in Cattedrale il 13 dicembre 1545 con una messa cantata dal cardinal legato Giovanni Maria del Monte e con il successivo sermone pronunciato da Cornelio Musso, vescovo di Bitonto. Nel coro si tennero le sessioni della prima e della seconda fase del Concilio. Sempre qui si svolsero varie cerimonie ufficiali , come il conferimento della berretta cardinalizia a Ludovico Madruzzo, avvenuto il 20 aprile 1561 alla presenza dei cardinali legati. Il sinodo fu chiuso solennemente in duomo il 4 dicembre 1563 e il giorno seguente i 217 padri si avvicendarono sull'altare maggiore per apporre la loro firma sugli atti conciliari. Durante il Concilio nel Duomo furono sepolti Johannes Colosvar, vescovo di Csanad e Galeazzo Roscio, vescovo di Assisi, oltre al capitano spagnolo Miguel Augusto Dansa, venuto a Trento al seguito del fratello Pedro Agostino, vescovo di Huesca e Jaca. Sulla controfacciata è murato il bel monumento funerario del botanico senese Pietro Andrea Mattioli, medico del Concilio, morto a Trento nel 1577.
Insigne tempio romanico, la cattedrale è uno scrigno di arte sacra con testimonianze pittoriche e plastiche dall'età paleocristiana al XIX sec. La facciata è caratterizzata da un grande rosone e da un portale romanico strombato. Sul fianco sinistro, che chiude a mezzogiorno la piazza del Duomo, si imposta un elegante protiro romanico con elementi gotici e rinascimentali, mentre nel transetto si apre il rosone con la ruota della Fortuna. Sul prospetto meridionale si imposta la Cappella del Crocifisso, elevata nel 1682 dal principe vescovo Francesco Alberti-Poja per ospitare il grande crocifisso ligneo davanti al quale furono proclamati i decreti conciliari: la figura di Cristo in croce è accompagnata dalle statue della Madonna e di San Giovanni Evangelista, anch'esse scolpite agli albori del Cinquecento dallo scultore Sistus Frei di Norimberga. Le grandi tele laterali sono di Karl Loth, gli affreschi della cupola di Giuseppe Alberti. All'ingresso della cappella, sui basamenti delle statue barocche della Maddalena e della Veronica, sono incise iscrizioni commemorative del Concilio e delle visite pontificie del 1782 (Pio VI) e del 1995 (Giovanni Paolo II). L'altare maggiore, ispirato al baldacchino berniniano di San Pietro a Roma, fu eretto tra il 1738 e il 1743 dall'architetto e scultore trentino Domenico Sartori.
Il Concilio si aprì in Cattedrale il 13 dicembre 1545 con una messa cantata dal cardinal legato Giovanni Maria del Monte e con il successivo sermone pronunciato da Cornelio Musso, vescovo di Bitonto. Nel coro si tennero le sessioni della prima e della seconda fase del Concilio. Sempre qui si svolsero varie cerimonie ufficiali , come il conferimento della berretta cardinalizia a Ludovico Madruzzo, avvenuto il 20 aprile 1561 alla presenza dei cardinali legati. Il sinodo fu chiuso solennemente in duomo il 4 dicembre 1563 e il giorno seguente i 217 padri si avvicendarono sull'altare maggiore per apporre la loro firma sugli atti conciliari. Durante il Concilio nel Duomo furono sepolti Johannes Colosvar, vescovo di Csanad e Galeazzo Roscio, vescovo di Assisi, oltre al capitano spagnolo Miguel Augusto Dansa, venuto a Trento al seguito del fratello Pedro Agostino, vescovo di Huesca e Jaca. Sulla controfacciata è murato il bel monumento funerario del botanico senese Pietro Andrea Mattioli, medico del Concilio, morto a Trento nel 1577.
"I cavalier che fecero l'impresa"