23 dicembre: sulle colline di custoza (vr)
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Le colline moreniche nei dintorni di Custoza, sul confine con la pianura Padana, hanno fatto da sfondo e contorno in questo mio excursus in terra veronese, con la complicità di Lucio Gelain, autodefinitosi Escursionista per caso e per caso trovato navigando in rete nei luoghi dell’Escursionismo virtuale. Appena arrivato in loco ho scoperto anche l’esistenza della varietà di broccoletto di Custoza che devo ammettere, non conoscevo, pure amando le tipicità natural-gastronomiche delle terre altrui. Di Custoza invero avevo soprattutto due input: quello della battaglia risorgimentale nella Terza Guerra d’Indipendenza (1866) e il più recente e gustoso vino bianco omonimo, ottenuto dalla sapiente mescola di vari e selezionati tipi di uve. Altra scoperta è stata quella che le battaglie di Custoza furono in realtà due, entrambe comunque disastrose per l’esercito piemontese prima e quello italiano poi. Confido di approfondire in data da destinarsi la conoscenza della zona (Ossario, villa Venier a Sommacampagna e Sommacampagna stessa) e dei suoi prodotti, soprattutto il broccoletto.
http://www.terredelcustoza.com/it/luoghi/museo-del-risorgimento
http://www.tourism.verona.it/it/cosa-fare/arte-e-cultura/musei-e-monumenti/ossario-di-custoza
Il giro, seppure lungo, non presenta difficoltà tecniche di sorta, se non forse per l'orientamento, in quanto non tracciato. Per la maggior parte si percorrono stradine interpoderali, margini di campi coltivati, carrarecce ed anche una percentuale di strade asfaltate di minor traffico. Il dislivello è minimo ed è distribuito lungo il percorso. I "muri" principali li abbiamo avuti risalendo verso S.Lucia ai Monti per recarci al ristorante "La Grotta" (ottimo, oltre che nella cucina tipica veronese, anche negli arredi interni, molto ben curati anche se D'Annunziani in qualche tratto ) e poi per risalire all'arrivo dalla località Molini. In tutto più o meno 200 m. Buona e graziosa (almeno nella parte femminile, preponderante) la compagnia.
http://www.terredelcustoza.com/it/luoghi/museo-del-risorgimento
http://www.tourism.verona.it/it/cosa-fare/arte-e-cultura/musei-e-monumenti/ossario-di-custoza
Il giro, seppure lungo, non presenta difficoltà tecniche di sorta, se non forse per l'orientamento, in quanto non tracciato. Per la maggior parte si percorrono stradine interpoderali, margini di campi coltivati, carrarecce ed anche una percentuale di strade asfaltate di minor traffico. Il dislivello è minimo ed è distribuito lungo il percorso. I "muri" principali li abbiamo avuti risalendo verso S.Lucia ai Monti per recarci al ristorante "La Grotta" (ottimo, oltre che nella cucina tipica veronese, anche negli arredi interni, molto ben curati anche se D'Annunziani in qualche tratto ) e poi per risalire all'arrivo dalla località Molini. In tutto più o meno 200 m. Buona e graziosa (almeno nella parte femminile, preponderante) la compagnia.
Chi non volesse affrontare la totalità del giro proposto c'è la possibilità di affrontare due itinerari, proposti dal comune, magari maggiormente tracciati e riconoscibili. Se il primo (CamminaCustoza) è lungo soli 8 km. e concerne di più l'aspetto naturale e paesaggistico nelle immediate vicinanze del borgo, il secondo(più lungo) va a ricercare, "sconfinando"fino a Sommacampagna, i luoghi che furono teatro delle battaglie del 1848. Ne propongo sotto i pdf
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L'abitato (circa 1200 ab.) sorge sulle ultime propaggini dell'anfiteatro morenico del Garda, nei pressi del fiume Tione, a breve distanza dalla Pianura Padana e dall'asse viario della via Postumia, che in epoca romana collegava Aquileia (porto sul Mare Adriatico) a Genova (sul Mar Tirreno), ideale via quindi d'attraversamento della penisola italica, all'epoca ormai completamente sotto l'egida romana. Custoza è situata circa ad eguale distanza da Sommacampagna (comune d'appartenenza), Valeggio e Villafranca.
La località dà il nome ad un vino DOC, il bianco di Custoza, con una produzione annua di circa 100.000 hl. Rinomato anche se più recente è altresì il broccoletto di Custoza, da gustare lessato, condito con l'olio del Garda (anche nei dintorni dell'abitato esistono comunque oliveti) e accompagnato dall'omonimo vino.
La località dà il nome ad un vino DOC, il bianco di Custoza, con una produzione annua di circa 100.000 hl. Rinomato anche se più recente è altresì il broccoletto di Custoza, da gustare lessato, condito con l'olio del Garda (anche nei dintorni dell'abitato esistono comunque oliveti) e accompagnato dall'omonimo vino.
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Custoza è nota per essere stata teatro di due importanti battaglie risorgimentali, che videro in entrambi i casi la sconfitta dell'esercito piemontese prima e italiano poi ad opera dell'esercito austriaco. Il 25 luglio 1848 il generale Radetzky sconfisse l'esercito del re Carlo Alberto di Savoia. Nel 1866 (il 24 giugno), l'Arciduca Alberto d'Asburgo-Teschen sconfisse l'esercito italiano, guidato dal generale Alfonso La Marmora. Nonostante la sconfitta non possa essere messa in discussione, merita evidenziarsi che il vittorioso esercito austriaco subì la perdita di 7956 unità contro i 7403 morti dell'esercito italiano.
Ad imperituro ricordo di tali episodi bellici sorge un ossario nei pressi del paese, il quale, inaugurato da Amedeo di Savoia duca d'Aosta il 24 giugno del 1879, contiene le spoglie di tutti i soldati morti durante le suddette battaglie delle Guerre d'Indipendenza Italiane.
Storico personaggio legato alla località e a quegli eventi, celebrato dal De Amicis, è il Tamburino sardo, che, secondo il racconto narrato nel libro "Cuore", corse giù dalle colline di Custoza per chiamare i rinforzi. Nella casa descritta dal De Amicis (si parla della battaglia del 1848) è ora installato un ristorante -Azienda Agricola e Vitivinicola che ha fatto proprio il nome di Tamburino Sardo (nella foto qui sopra quella che viene presentata come la casa del Tamburino).
Ad imperituro ricordo di tali episodi bellici sorge un ossario nei pressi del paese, il quale, inaugurato da Amedeo di Savoia duca d'Aosta il 24 giugno del 1879, contiene le spoglie di tutti i soldati morti durante le suddette battaglie delle Guerre d'Indipendenza Italiane.
Storico personaggio legato alla località e a quegli eventi, celebrato dal De Amicis, è il Tamburino sardo, che, secondo il racconto narrato nel libro "Cuore", corse giù dalle colline di Custoza per chiamare i rinforzi. Nella casa descritta dal De Amicis (si parla della battaglia del 1848) è ora installato un ristorante -Azienda Agricola e Vitivinicola che ha fatto proprio il nome di Tamburino Sardo (nella foto qui sopra quella che viene presentata come la casa del Tamburino).
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Il Tamburino Sardo tratto da 'Altri Tempi' Italia '51 con E. Cerusico.
Un episodio della splendida saga (a volte ingiustamente vituperata) del grande scrittore Edmondo De Amicis in "Cuore". E' importante sapere che la maggior parte di questi episodi l'autore li aveva probabilmente tratti dai rapporti -veri- dei comandi. |
Ecco qui il racconto completo
E' il 24 luglio 1848, e ci troviamo a Custoza, nelle verdi colline della provincia di Verona. Il protagonista della vicenda è un tamburino sardo, un ragazzo di poco più di quattordici anni, piccolo, dal viso bruno olivastro e con due occhietti neri e profondi. Egli si trova assieme ad una sessantina di soldati di un reggimento di fanteria dell'esercito piemontese, mandati su un'altura di Custoza ad occupare una casa abbandonata, quando improvvisamente vengono assaliti da due compagnie di soldati austriaci che li costringono a trovare rifugio nella casa stessa. Sbarrate precipitosamente le porte, i nostri uomini si dirigono verso le finestre imbracciando i fucili, dando così inizio ad una lunga ed estenuante battaglia che provoca numerosi morti su entrambi i fronti. Vistosi in grave difficoltà, il capitano piemontese, un vecchio alto, secco e austero, con i capelli e i baffi bianchi, chiama in disparte il piccolo tamburino, facendogli cenno di seguirlo al piano superiore: nella nuda soffitta il capitano sta scrivendo con una matita sopra un foglio; lo ripiega, e fissando negli occhi il ragazzo gli comunica che sta per affidargli un'importante missione: a Villafranca, appena scesa la collina, sono appostati i carabinieri italiani. Il ragazzo ha l'ordine di raggiungerli e consegnare il messaggio al primo ufficiale che trova sul suo cammino. E così è. Il ragazzo si cala con una corda dalla finestra che si trova sul retro della casa, e comincia a correre il più velocemente possibile; nel frattempo, il capitano, con lo sguardo, segue tutti i suoi movimenti; gli austriaci si accorgono di lui ed iniziano a far fuoco su quella piccola figura che fugge verso i campi: viene colpito ma si rialza, riprende la corsa ma zoppica, rallenta per poi ricominciare a correre ancora più veloce, finché non scompare dietro una siepe e il capitano lo perde di vista. Al pian terreno, intanto, il numero dei morti va aumentando, ma egli non ha alcuna intenzione di arrendersi.
Il tempo passa, e tutti ormai stanno perdendo ogni speranza quando, all'improvviso, in mezzo all'enorme polverone, scorgono i berretti a due punte dei carabinieri: i rinforzi sono finalmente giunti. Il piccolo tamburino ce l'ha fatta. La giornata termina con la vittoria dei nostri, ma due giorni dopo gli italiani sono costretti a ritirarsi sul Mincio, a causa dell'elevato numero di soldati austriaci presenti. Il capitano, benché ferito, una volta giunto a Goito desidera sincerarsi delle condizioni di salute di un suo luogotenente, anch'egli ferito e trasportato da un'ambulanza in un ospedale da campo: gli viene indicata una chiesa e una volta giuntovi si guarda attorno cercando con lo sguardo il suo ufficiale in mezzo a tutti quegli uomini adagiati sui materassi posti sul pavimento della chiesa. E' in quel momento che si sente chiamare da una voce fioca: è il piccolo tamburino, disteso sopra un letto a cavalletti, coperto fino al petto da una tenda da finestra, pallido e smagrito, che inizia il racconto della sua impresa, tra mille difficoltà e sotto il fuoco nemico, con l'unico pensiero di assolvere all'incarico che gli era stato affidato. L'uomo, vedendo il ragazzo così debole è indotto a pensare che abbia perso molto sangue, ma distoglie inorridito lo sguardo quando vede che al giovane è stata amputata una gamba, e il troncone rimasto è fasciato da panni insanguinati. Giunge in quell'attimo il medico che, dolente, comunica al capitano come la gamba si sarebbe potuta salvare, se non fosse stata sforzata in modo così assurdo. E' così che l'uomo, quel rozzo soldato che non aveva mai pronunciato una parola mite verso un suo inferiore, alza la mano alla fronte e dice: "Io non sono che un capitano. Tu sei un eroe ". Poi si getta con le braccia aperte sul tamburino, e lo bacia tre volte sul cuore.
Questa la storia. Una bella, tragica storia che col salvataggio e l'eroismo tenta di oscurare il fatto che la battaglia fu una sconfitta per i piemontesi, non ancora denominati italiani. (Le ultime due righe sono il mio personale pensiero. Mi sorprende che nessuno abbia mai sottolineato il fatto che un ragazzino sia schierato in un reparto d'assalto, seppure con compiti minori. Erano altri tempi, non certo da rimpiangere.)
E' il 24 luglio 1848, e ci troviamo a Custoza, nelle verdi colline della provincia di Verona. Il protagonista della vicenda è un tamburino sardo, un ragazzo di poco più di quattordici anni, piccolo, dal viso bruno olivastro e con due occhietti neri e profondi. Egli si trova assieme ad una sessantina di soldati di un reggimento di fanteria dell'esercito piemontese, mandati su un'altura di Custoza ad occupare una casa abbandonata, quando improvvisamente vengono assaliti da due compagnie di soldati austriaci che li costringono a trovare rifugio nella casa stessa. Sbarrate precipitosamente le porte, i nostri uomini si dirigono verso le finestre imbracciando i fucili, dando così inizio ad una lunga ed estenuante battaglia che provoca numerosi morti su entrambi i fronti. Vistosi in grave difficoltà, il capitano piemontese, un vecchio alto, secco e austero, con i capelli e i baffi bianchi, chiama in disparte il piccolo tamburino, facendogli cenno di seguirlo al piano superiore: nella nuda soffitta il capitano sta scrivendo con una matita sopra un foglio; lo ripiega, e fissando negli occhi il ragazzo gli comunica che sta per affidargli un'importante missione: a Villafranca, appena scesa la collina, sono appostati i carabinieri italiani. Il ragazzo ha l'ordine di raggiungerli e consegnare il messaggio al primo ufficiale che trova sul suo cammino. E così è. Il ragazzo si cala con una corda dalla finestra che si trova sul retro della casa, e comincia a correre il più velocemente possibile; nel frattempo, il capitano, con lo sguardo, segue tutti i suoi movimenti; gli austriaci si accorgono di lui ed iniziano a far fuoco su quella piccola figura che fugge verso i campi: viene colpito ma si rialza, riprende la corsa ma zoppica, rallenta per poi ricominciare a correre ancora più veloce, finché non scompare dietro una siepe e il capitano lo perde di vista. Al pian terreno, intanto, il numero dei morti va aumentando, ma egli non ha alcuna intenzione di arrendersi.
Il tempo passa, e tutti ormai stanno perdendo ogni speranza quando, all'improvviso, in mezzo all'enorme polverone, scorgono i berretti a due punte dei carabinieri: i rinforzi sono finalmente giunti. Il piccolo tamburino ce l'ha fatta. La giornata termina con la vittoria dei nostri, ma due giorni dopo gli italiani sono costretti a ritirarsi sul Mincio, a causa dell'elevato numero di soldati austriaci presenti. Il capitano, benché ferito, una volta giunto a Goito desidera sincerarsi delle condizioni di salute di un suo luogotenente, anch'egli ferito e trasportato da un'ambulanza in un ospedale da campo: gli viene indicata una chiesa e una volta giuntovi si guarda attorno cercando con lo sguardo il suo ufficiale in mezzo a tutti quegli uomini adagiati sui materassi posti sul pavimento della chiesa. E' in quel momento che si sente chiamare da una voce fioca: è il piccolo tamburino, disteso sopra un letto a cavalletti, coperto fino al petto da una tenda da finestra, pallido e smagrito, che inizia il racconto della sua impresa, tra mille difficoltà e sotto il fuoco nemico, con l'unico pensiero di assolvere all'incarico che gli era stato affidato. L'uomo, vedendo il ragazzo così debole è indotto a pensare che abbia perso molto sangue, ma distoglie inorridito lo sguardo quando vede che al giovane è stata amputata una gamba, e il troncone rimasto è fasciato da panni insanguinati. Giunge in quell'attimo il medico che, dolente, comunica al capitano come la gamba si sarebbe potuta salvare, se non fosse stata sforzata in modo così assurdo. E' così che l'uomo, quel rozzo soldato che non aveva mai pronunciato una parola mite verso un suo inferiore, alza la mano alla fronte e dice: "Io non sono che un capitano. Tu sei un eroe ". Poi si getta con le braccia aperte sul tamburino, e lo bacia tre volte sul cuore.
Questa la storia. Una bella, tragica storia che col salvataggio e l'eroismo tenta di oscurare il fatto che la battaglia fu una sconfitta per i piemontesi, non ancora denominati italiani. (Le ultime due righe sono il mio personale pensiero. Mi sorprende che nessuno abbia mai sottolineato il fatto che un ragazzino sia schierato in un reparto d'assalto, seppure con compiti minori. Erano altri tempi, non certo da rimpiangere.)
...e poi i tramonti...
Chiesa parrocchiale San Pietro in Vinculis di Custoza
In stile neoclassico, a croce latina con cupola interna, sostituì un precedente edificio di cui resta una statua quattrocentesca della Madonna. La parrocchia di Custoza si staccò da Sommacampagna nel 1536 e la chiesa fu consacrata nel 1792.
In stile neoclassico, a croce latina con cupola interna, sostituì un precedente edificio di cui resta una statua quattrocentesca della Madonna. La parrocchia di Custoza si staccò da Sommacampagna nel 1536 e la chiesa fu consacrata nel 1792.
..."e giunti che fummo al primigenio loco, ognun s'andò alle patrie magioni".