Dal Passo Sella per la via Federico Augusto fino al Rif. Sassopiatto. poi discesa fino a Campitello per la Val Duron
Il 30 luglio 1911 venne inaugurato ufficialmente il sentiero che collega Col Rodela (Passo Sella) e l'ex rifugio "Seiseralpe". Il promotore principale di questo progetto era il noto pioniere del turismo alpino e proprietario di entrambi i rifugi, franz Dialer. Il progetto era frutto della collaborazione tra la sezione "Seiseralpe" del club alpino tedesco-austriaco e la III divisione del reggimento dei "Kaiserschutzen". Uno degli sponsor e patrocinatore del progetto era il re di Sassonia Federico Augusto, che trascorreva le sue vacanze a Siusi. Per questa ragione, il percorso porta il suo nome: "Alta Via Federico Augusto". Il punto di partenza dalla parte del Passo Sella è il rifugio omonimo, posto a 2298 m.
Il re di Sassonia Federico Augusto III, rimasto fino ad oggi quanto mai presente nella memoria del popolo e soprattutto in quella dei suoi connazionali, era un escursionista e uno scalatore appassionato della natura. Il re, perfettamente attrezzato durante le frequenti escursioni in montagna, amava rimanere nell'anonimato e mescolarsi a montanari e scalatori. Un giorno s'imbattè in un gruppo di alpinisti che, durante una sosta prima di raggiungere la cima, si presentarono e chiesero da dove venisse. Il re, dapprima esitante, spiegò simpaticamente in dialetto sassone: "A casa mia faccio il re!"
Federico Augusto III con i figli e la corte soggiornava spesso a Siusi allo Sciliar, da cui oartiva per innumerevoli escursioni. Egli avvertiva un forte legame con l'operosa gente del posto e con lo straordinario paesaggio della montagna simbolo del luogo: lo Sciliar. Come il prozio, anche Federico Augusto III amava esplorare le Alpi, in particolare il Tirolo e le sue montagne. Un suo accompagnatore durante una di queste escursioni solitarie sul bordo di ripidi pendii affermò che, a spingere il re sulle cime più alte, con camminate che spesso duravano anche 12 ore, non era la fierezza, bensì l'amore per la natura, la flora e la fauna, oltre che la gioia che gli procurava anche la fatica nello scalare le montagne. Non si lasciava scoraggiare neppure dalle gelide temperature, dalla pioggia o dai più caldi raggi del sole: niente poteva turbare il suo buon umore, continuando a salire con agilità verso l'ambita meta. Per esempio, il 2 agosto del 1910, il re con il suo seguito e due guide, partendo dal rifugio Pragerhutte, intraprese la scalata di 5 ore del Grossglockner; un'immagine lo raffigura bruciato dal sole, con un vecchissimo cappello da cacciatore in testa, avvolto nel suo consueto loden, mentre sorride felice, seduto sulla cima con, alle spalle, un cielo azzurro e una limpida vista panoramica a perdita d'occhio di una bellezza mozzafiato. In ricordo di questa memorabile giornata, il re fece recapitare alle guide delle fibbie d'argento per le piccozze, decorate con la corona, le iniziali e l'incisione della data: un omaggio scelto con il cuore, con l'intento di suscitare la gioia dei destinatari. Il re era molto amato dai montanari di Siusi allo Sciliar, di Tarvisio, del Tirolo e della Carinzia. Il suo modo di fare semplice e aperto gli aveva fatto conquistare l'affetto di queste genti apparentemente chiuse e dure, ma che condividevano la sua gioia, quando trovava fiori rari, ciclamini, genziane o stelle alpine, che amava particolarmente e che conservava con grande cura. Ma ciò che preferiva era trattenersi sulle montagne più alte, vicino al cielo, lontano dagli uomini, a tu per tu con il Creatore e il suo splendido Creato.
Federico Augusto III con i figli e la corte soggiornava spesso a Siusi allo Sciliar, da cui oartiva per innumerevoli escursioni. Egli avvertiva un forte legame con l'operosa gente del posto e con lo straordinario paesaggio della montagna simbolo del luogo: lo Sciliar. Come il prozio, anche Federico Augusto III amava esplorare le Alpi, in particolare il Tirolo e le sue montagne. Un suo accompagnatore durante una di queste escursioni solitarie sul bordo di ripidi pendii affermò che, a spingere il re sulle cime più alte, con camminate che spesso duravano anche 12 ore, non era la fierezza, bensì l'amore per la natura, la flora e la fauna, oltre che la gioia che gli procurava anche la fatica nello scalare le montagne. Non si lasciava scoraggiare neppure dalle gelide temperature, dalla pioggia o dai più caldi raggi del sole: niente poteva turbare il suo buon umore, continuando a salire con agilità verso l'ambita meta. Per esempio, il 2 agosto del 1910, il re con il suo seguito e due guide, partendo dal rifugio Pragerhutte, intraprese la scalata di 5 ore del Grossglockner; un'immagine lo raffigura bruciato dal sole, con un vecchissimo cappello da cacciatore in testa, avvolto nel suo consueto loden, mentre sorride felice, seduto sulla cima con, alle spalle, un cielo azzurro e una limpida vista panoramica a perdita d'occhio di una bellezza mozzafiato. In ricordo di questa memorabile giornata, il re fece recapitare alle guide delle fibbie d'argento per le piccozze, decorate con la corona, le iniziali e l'incisione della data: un omaggio scelto con il cuore, con l'intento di suscitare la gioia dei destinatari. Il re era molto amato dai montanari di Siusi allo Sciliar, di Tarvisio, del Tirolo e della Carinzia. Il suo modo di fare semplice e aperto gli aveva fatto conquistare l'affetto di queste genti apparentemente chiuse e dure, ma che condividevano la sua gioia, quando trovava fiori rari, ciclamini, genziane o stelle alpine, che amava particolarmente e che conservava con grande cura. Ma ciò che preferiva era trattenersi sulle montagne più alte, vicino al cielo, lontano dagli uomini, a tu per tu con il Creatore e il suo splendido Creato.
Le valli d'alta quota divennero luoghi frequentati a partire dal periodo Mesolitico (11.000-7.500 anni fa) ad opera essenzialmente di cacciatori. Durante l'estate partivano dai villaggi di fondovalle per raggiungere siti posti tra i 1800 ed i 2300 m. dove cercavano i luoghi più adatti per costruire i propri bivacchi, presso sponde di laghi, passi e ripari sottoroccia ed è per questo che i ritrovamenti più antichi si limitano essenzialmente a punte di selce. Solo più tardi, nell'età del Ferro si avranno i primi insediamenti stabili, come i pigui a Mazzin, ma tracce di tali presenze umane sono state ritrovate anche a Campitello in località Crousc e Cherpei.
Il bosco, che rende verdi i versanti della Val Duron, si contrappone al Bianco delle Dolomiti e all'azzurro del cielo. Non è un caso che gli avi degli attuali abitanti abbiano fatto di questa sequenza i colori della loro bandiera, simbolo di identità e legame al territorio. Il bosco è una componente vitale per tutti gli esseri viventi compreso l'uomo: è la casa di tutti. Fin dal Mesolitico gli uomini vivevano con il bosco, che dava loro cibo e legna. Man mano che le popolazioni si sono insediate nelle valli, si è creato un equilibrio tra lo spazio occupato dall'uomo e la sua presenza. In queste valli il bosco è sempre stato rispettato perché componente essenziale dell'economia basata sul legname da costruzione e la legna da ardere.
Oggi quello che ci circonda è un bosco bello, di un verde rigoglioso frutto dell'amore e del rispetto di generazioni di valligiani. Il comune di Campitello gestisce questo patrimonio in modo sostenibile e certificato (standard PEFC), così da produrre paesaggio, aria ed acqua pulita, ma anche biodiversità, legname da opera e legna da ardere, oltre che aumentare la sicurezza del proprio territorio in caso di calamità naturali.
Il bosco della Val Duron è composto da abete rosso e larice nella parte bassa della valle (da Campitello a poco prima del rif. Micheluzzi), mentre nella parte alta, oltre il rifugio, perlopiù da pino cembro e larice. La sostituzione dell'abete rosso con il pino cembro si deve al diverso clima che in quota si fa più rigido facendo si che l'abete rosso ceda il passo al pino cembro originario della Siberia. Il larice, tenace essenza dal legno nervoso di color rosso, vive bene alle quote più basse, ma riesce a lottare con i venti ed i rigidi inverni delle quote più alte. E' l'unica conifera della valle che in autunno si spoglia perdendo gli aghi.
Oggi quello che ci circonda è un bosco bello, di un verde rigoglioso frutto dell'amore e del rispetto di generazioni di valligiani. Il comune di Campitello gestisce questo patrimonio in modo sostenibile e certificato (standard PEFC), così da produrre paesaggio, aria ed acqua pulita, ma anche biodiversità, legname da opera e legna da ardere, oltre che aumentare la sicurezza del proprio territorio in caso di calamità naturali.
Il bosco della Val Duron è composto da abete rosso e larice nella parte bassa della valle (da Campitello a poco prima del rif. Micheluzzi), mentre nella parte alta, oltre il rifugio, perlopiù da pino cembro e larice. La sostituzione dell'abete rosso con il pino cembro si deve al diverso clima che in quota si fa più rigido facendo si che l'abete rosso ceda il passo al pino cembro originario della Siberia. Il larice, tenace essenza dal legno nervoso di color rosso, vive bene alle quote più basse, ma riesce a lottare con i venti ed i rigidi inverni delle quote più alte. E' l'unica conifera della valle che in autunno si spoglia perdendo gli aghi.